App. Milano (ord.), 4 ottobre 2006


R.G. N. 418 /2006 Volontaria G. Appello

LA CORTE D'APPELLO DI MILANO

SEZIONE PRIMA CIVILE


riunita in camera di consiglio in persona dei magistrati:

dott. Giuseppe Patrone presidente

dott. Baldo Marescotti rel. consigliere estensore

dott. Irene Formaggia consigliere

nel procedimento di reclamo promosso con ricorso ex art. 27 Decreto Legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 in relazione all’art. 2409 cod. civ., depositato in data 13 luglio 2006, contro il decreto pronunciato il 23 giugno 2006, depositato il 30 giugno 2006, del tribunale di Milano,

DA


Lucia Scoz Stoppani e Luigi Stoppani, rappresentati e difesi dagli avvocati Piero G. Parodi e Placido Mineo del foro di Milano, elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Milano, via San Maurilio n. 14, per procura a margine del ricorso ex art. 2409 cod.civ.,
RECLAMANTI

contro


gli amministratori della società Finanziaria Alzavola S.p.A., avv. Fausto Bongiorni, dott. Mauro Morelli, dott. Fabio Pettinato, dott. Francesco De Castri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Iannaccone e Giacomo Fenoglio ed elettivamente domiciliati in Milano, corso Matteotti n. 11, presso l’avv. Iannaccone, per procura in calce alla memoria difensiva in atti
resistenti

e contro

i sindaci, dott. Roberto Antonelli, dott. Giorgio Squindo e dott. Enrico Panzacchi, rappresentati e difesi dall’avvocato Cesare Pietro Franzi, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Milano, Piazza San Pietro in Gessate n. 2

e nel contraddittorio

della società Finanziaria Alzavola S.p.A.

chiamata non costituita

e


del Pubblico Ministero in sede, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica,
ha pronunciato la seguente
ordinanza:
Visti gli atti e i documenti prodotti, visto il parere del pubblico ministero; sentite le parti in camera di consiglio all’udienza del 4 ottobre 2006,
sciogliendo la riserva che precede,
OSSERVA:


(1) Le parti riconoscono che dopo la proposizione del reclamo contro il decreto di rigetto pronunciato dal Tribunale il 23 giugno 2006 (depositato il 30 giugno 29006) sono intervenuti mutamenti degli organi sociali che precludono l’esame del merito della denuncia di irregolarità proposta anche in appello da Lucia Scoz Stoppani e da Luigi Stoppani.

Nel corso dell’adunanza assembleare del 12 settembre 2006 gli amministratori avv. Fausto Bongiorni, dott. Mauro Morelli e dott. Fabio Pettinato hanno comunicato di rinunziare alla carica. Nel corso dell’adunanza assembleare poi del 25 settembre 2006 sono stati nominati amministratori Lugi Stoppani (attuale reclamante) con la carica di presidente, l’avv. Filadelfo Chirico e il signor Dante Verona. Nella medesima assemblea è stato revocato l’amministrare delegato dott. Di Castri (uno dei resistenti). Anche i sindaci dott. Roberto Antonelli e Giorgio Squindo – nel corso dell’adunanza dell’undici settembre 2006 – hanno dichiarato di non essere disponibili ad essere riconfermati. In data 8 settembre 2006 l’avv. Fausto Bongiorni ha inoltre dichiarato di rinunciare al mandato di rappresentante comune degli azionisti di maggioranza della società. A tale ufficio è stato nominato l’avv. Filadelfo Chirico.

Come hanno eccepito i resistenti, gli attuali reclamanti, che hanno espresso il voto determinante per la nomina di tutti i nuovi amministratori e sindaci, hanno assunto la posizione di maggioranza nella società, per cui è venuto meno il loro interesse all’azione.

I reclamanti non hanno contestato le circostanze ed i fatti dedotti dai resistenti; essi non si sono opposti a che i mutamenti sopravvenuti siano valutati come idonei a determinare una preclusione alla prosecuzione del procedimento e non hanno insistito nella richiesta di pronuncia di provvedimenti di controllo giudiziario dell’amministrazione della società Finanziaria Alzavola. Hanno, tuttavia, dichiarato di avere interesse a che la Corte proceda in ogni caso all’esame delle questioni sollevate nel procedimento, anche ai fini dell’accertamento della responsabilità per le spese.

(2) La Corte è chiamata dunque a decidere sul regolamento delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale. Siffatta decisione presuppone che si esamini la questione preliminare che il Tribunale ha risolto in termini preclusivi dell’azione di denuncia delle irregolarità.

I reclamanti avevano precisato, nel ricorso iniziale, che la loro legittimazione discendeva dall’essere gli stessi titolari, per successione “mortis causa” e per acquisto diretto, di una quota del capitale della società Finanziaria Alzavola S.p.A. pari al 24,240% (23,640% [pari al 43,66% della quota del 54,146%, quota di Plinio Stoppani caduta in successione] + 0,6%, che rappresenta la quota di proprietà diretta di Lucia Scoz Stoppani).

Il Tribunale ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dai resistenti in ordine al fatto che i ricorrenti non erano azionisti, ma possedevano soltanto quote di azioni indivise per averle ereditate da Plinio Stoppani, deceduto il 4 giugno 2005, e non avevano ancora diviso la massa ereditaria, ovvero anche la sola parte costituita dalle azioni di Alzavola. In tale situazione il Tribunale ha ritenuto applicabile la disposizione prevista dall’art. 2347 cod.civ. Tale disposizione stabilisce che “le azioni sono indivisibili” e che in caso di comproprietà i diritti degli azioni in comunione spettano al rappresentante comune. Nel caso in esame era stato nominato in effetti un rappresentante comune nella persona dell’avv. Fausto Bongiorni. Ne conseguiva, secondo il Tribunale, il difetto di legittimazione dei ricorrenti.

(3) La Corte ritiene che l’interpretazione contraria opposta dai reclamanti non possa essere accolta, e che debba essere invece condivisa l’interpretazione fatta propria anche dal Tribunale.

La disposizione dell’art. 2347 cod.civ. prevede che le azioni sono indivisibili e “nel caso di comproprietà di un’azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune”.

La disciplina dei diritti amministrativi inerenti all’azione di società in comproprietà fra piú titolari è diversa da quella prevista dal combinato disposto degli articoli 1105 - 1108 cod.civ. in materia di comunione di altri beni. Rispetto alle norme generali che regolano il caso in cui la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a piú persone (art. 1100 cod.civ., “lex generalis”), l’art. 2347, regolando la comproprietà di quel particolare bene, complesso, costituito dall’azione di società, costituisce norma speciale derogatrice (in quanto "lex specialis") rispetto alla disciplina generale della comunione. Rileva, in questa materia, la caratteristica della indivisibilità della partecipazione azionaria che consegue ad esigenze proprie e peculiari dell’organizzazione societaria: l’esigenza cioè che, determinata l’unità azionaria, sia unitario l’esercizio dei relativi diritti, con preclusione di ogni possibile loro godimento o amministrazione (nei rapporti esterni) in forma individuale.

La disciplina legale ha la funzione di proteggere l’esigenza della società di semplificazione e di certezza nei rapporti con i comproprietari; nei rapporti interni fra i comproprietari nulla impedisce che le esigenze di organizzazione interna siano soddisfatte senza alcun limite per l’autonomia negoziale ed il relativo potere dispositivo; però, come si desume anche dalla disciplina dell’art. 2352, primo comma (pegno e usufrutto di azioni) e 1550 cod.civ. (riporto), nei rapporti esterni fra il gruppo dei comproprietari e la società non deve essere recato pregiudizio né alla speditezza dei lavori assembleari, né alla certezza della stabilità degli effetti delle deliberazioni assembleari legittimamente approvate. Ne discende che in caso di comproprietà di azioni, per il combinato disposto ex art. 2347, 1106 e 1108 c.c., i diritti dei comproprietari possono competere esclusivamente al rappresentante comune nominato dalla maggioranza dei comproprietari e non possono essere esercitati disgiuntamente (ed in via individuale e potenzialmente divergente) dai singoli comproprietari. Si tratta di un caso di rappresentanza necessaria, in cui i poteri rappresentativi sono per legge esclusivamente attribuiti al soggetto designato dai comproprietari con le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106 cod.civ.

(4) Anche il diritto di proporre la domanda di controllo giudiziario prevista dall’art. 2409 cod.civ., in quanto funzionalmente collegato alla posizione soggettiva di chi abbia la legittimazione ad esprimere la dichiarazione di voto, non può che appartenere al soggetto designato quale rappresentante comune dei soci comproprietari, con esclusione di chi non sia munito di un titolo di legittimazione di provenienza comune dei comproprietari stessi.

I reclamanti sostengono che la soluzione interpretativa scelta dal Tribunale non tiene conto del fatto che la funzione dell’art. 2347 cod.civ. dovrebbe essere quella di evitare che insorgano confusioni o contrasti nell’esercizio, nei confronti della società, dei diritti dei comproprietari di una o piú azioni. La disposizione dell’art. 2347 inciderebbe quindi solo ed esclusivamente sui diritti dei soci esercitabili nei confronti della società, rispetto ai quali la società sia controparte diretta rispetto all’obbligo azionato dal socio e si trovi cioè in una posizione corrispettiva rispetto all’esercizio del diritto del socio; essa non potrebbe interferire, invece, con l’esercizio delle azioni che riguardano gli amministratori e i sindaci, quali sono le azioni previste dall’art. 2409 cod.civ.

Anche questi argomenti – qui delibati dal Collegio negli stretti termini che possono apparire sufficienti per la decisione sulle spese - non sembrano rilevanti.
La Corte condivide le considerazioni svolte dal Tribunale. E’ rilevante considerare che nel testo riformato della disposizione prevista dall’art. 2409 cod.civ. è prevista la notificazione del ricorso “alla società”. Tale forma di “litis denuntiatio” ha il chiaro scopo di consentire che la società sia messa in grado di fare valere un proprio autonomo interesse, e possa partecipare al procedimento stesso, pur rimanendo fermo l’obbligo del tribunale di sentire in camera di consiglio gli amministratori ed i sindaci, i quali restano i soli soggetti chiamati in concreto a rispondere del loro operato. La società ha un interesse effettivo a che l'amministrazione sia regola­re e svolta nel rispetto delle norme di legge e di sta­tuto; se i sospetti di irregolarità fossero fondati, essa avrebbe un positivo interesse alla rimozione degli organi sociali, il cui operato fosse incompatibile con la regolarità dell'ammini­strazione. In considerazione di tale posizione della società, la nuova disposizione dell’art. 2409 cod.civ. le riconosce, in astratto, un potenziale interesse al procedimento; salva, dunque, la necessità di valutare quali siano le formalità necessarie perché la posizione della società sia rappresentata in termini idonei a risolvere il conflitto di interessi che si verrebbe a creare in capo al legale rappresentante – contestualmente individuato dal socio denunciante come autore delle irregolarità da rimuovere - non può condividersi l’affermazione dei reclamanti che il procedimento previsto dall’art. 2409 cod.civ. non si svolga anche nei confronti della società.

(5) L’interpretazione esposta non conduce a risultati interpretativi incompatibili con l’organizzazione della struttura societaria. La disposizione dell’art. 2347 cod.civ. non è l’unica che preveda una separazione tra la titolarità del diritto di proprietà delle azioni e la capacità e il potere di esercizio dei diritti che derivano dall’azione. E’ rilevante, in materia, il richiamo della disciplina stabilita dalla disposizione prevista dall’art. 2352 cod.civ. (Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni), nel testo modificato dalla riforma disposta con d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6. La norma, con le disposizioni del primo comma, prescrive che “Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all'usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode”, mentre nell’ultimo comma stabilisce che “Salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo……nel caso di sequestro sono esercitati dal custode”. La legittimazione a proporre ricorso per la denuncia di gravi irregolarità nella gestione della società e per la richiesta di opportuni provvedimenti cautelari ai sensi dell’art. 2409 cod.civ. costituisce uno dei diritti amministrativi a cui si applica la disposizione dell’art. 2352 ultimo comma citato. Tale diritto, in caso di sequestro delle azioni, spetta esclusivamente al custode. In caso siffatto, il socio, privato, per la durata del sequestro, di ogni potere di disposizione e di amministrazione che possa incidere sulla gestione, non è neppure legittimato ad agire per chiedere l’ispezione della amministrazione sociale e la revoca di amministratori e sindaci.

A sostegno di questa interpretazione concorrono, con i chiari argomenti di carattere letterale, desunti dalla univocità della previsione che i diritti amministrativi “nel caso di sequestro sono esercitati dal custode”, anche considerazioni che riguardano l’intenzione del legislatore e lo scopo perseguito dalla norma. Non pare concepibile che a una medesima azione di società corrispondano diritti scindibili, sul piano del voto in assemblea e su quello dell’impugnazione della deliberazione assembleare, per cui l’uno possa non solo prescindere dall’altro ma addirittura contraddirne il senso. Ma la stessa esigenza si manifesta anche rispetto all’esercizio di quegli altri diritti, come lo è quello di chiedere il controllo giudiziario previsto dall’art. 2409 cod.civ., in cui l’esito può ugualmente risolversi in una interferenza nella gestione del patrimonio sociale, in potenziale contrasto con le scelte gestionali del custode ovvero, nel caso dell’art. 2347 cod.civ., del rappresentante comune. Le stesse considerazioni valgono infatti nella materia delle azioni in comproprietà, rispetto alle quali il valore imperativo della norma si sorregge sulla tassatività delle espressioni usate dall’art. 2347 cod.civ., nel quale non è prevista una disciplina diversa in funzione della diversità dei diritti connessi alla titolarità dell’azione in comproprietà, e non si opera una distinzione tra diritti di voto, di opzione o altri diritti amministrativi, così come prevede l’art. 2352 cod.civ., ma si prevede che i diritti dei comproprietari “devono essere esercitati da un rappresentante comune”, senza alcuno spazio per poter fondatamente ritenere che una porzione dei diritti dati dalla titolarità dell’azione possa essere fatta valere individualmente da ciascun singolo comproprietario: soluzione, questa, che risulterebbe in contrasto con l’unitarietà e con l’indivisibilità dell’azione e con l’esigenza di una attività unitaria di godimento dell’azione.

(6) Quanto alle spese del procedimento, la Corte ritiene che la generale regolamentazione delle spese, pur dettata espressamente in tema di contenzioso ordinario, debba essere estesa anche ai procedimenti in camera di consiglio ex art. 2409 c.c. e siccome la ratio ispiratrice della condanna del soccombente alla rifusione degli oneri processuali è, in definitiva, a norma degli artt. 91 e ss. c.p.c., il principio di causalità, ne deriva che chi ha dato causa al procedimento giudiziario o vi ha resistito senza alcuna valida ragione, con ciò determinando la necessità, per gli altri soggetti del procedimento, di effettuare esborsi processuali utili ad accertare, nel contraddittorio, i presupposti del controllo giudiziario, è tenuto al relativo rimborso, senza che a ciò osti la natura cautelare del procedimento ex art. 2409 cod.civ. Tale principio deve considerarsi coerente con l’opinione espressa in via generale dalla Suprema Corte di cassazione, secondo cui l'art. 91 cod.proc.civ., nella parte in cui stabilisce la regola della condanna della parte soccombente al rimborso delle spese, si applica con riguardo ad ogni provvedimento, ancorchè reso in forma di ordinanza o di decreto, e con riferimento ad ogni procedimento, abbia questo natura ordinaria, sommaria o cautelare (cfr. anche Cass. Sezione I, sentenza 10 gennaio 2005 n. 293). Di conseguenza, i reclamanti, quali soccombenti, devono rimborsare ai resistenti le spese di lite, nella misura liquidata direttamente in dispositivo. Diritti ed onorari devono essere liquidati applicando i criteri di determinazione previsti per le cause di valore indeterminabile (art. 6 delle disposizioni generali della tariffa forense), giacché l’oggetto del procedimento non attiene alla pronuncia di provvedimenti di condanna, ma all’accertamento della legittimazione dei ricorrenti e della sussistenza di irregolarità di gestione.
Per Tali Motivi
La Corte d’appello di Milano, sezione prima civile,
Respinge


Il reclamo proposto contro il decreto pronunciato dal Tribunale di Milano il 23 giugno 2006 (depositato il 30 giugno 29006), per essere venuta meno la materia del contendere a seguito della nomina di nuovi organi sociali della società Finanziaria Alzavola S.p.A.;

condanna


i reclamanti Lucia Scoz Stoppani e da Luigi Stoppani a rifondere ai resistenti le spese anche di questo procedimento, liquidate:

- a favore degli amministratori della società Finanziaria Alzavola S.p.A., avv. Fausto Bongiorni, dott. Mauro Morelli, dott. Fabio Pettinato, dott. Francesco De Castri, in complessivi € 4.391,00, di cui € 50,00 per spese, € 1.341,00 per diritti e € 3.000,00 onorari, oltre ai competenti oneri fiscali e previdenziali e le spese generali di studio come previste dalla tariffa forense;

- a favore dei sindaci, dott. Roberto Antonelli, dott. Giorgio Squindo e dott. Enrico Panzacchi in complessivi € 4.391,00, di cui € 50,00 per spese, € 1.341,00 per diritti e € 3.000,00 onorari, oltre ai competenti oneri fiscali e previdenziali e le spese generali di studio come previste dalla tariffa forense.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 4 ottobre 2006

Si comunichi alle parti.

Il presidente
(Giuseppe Patrone)